Inghilterra-Ungheria. Quando un Falso Nueve incantò Wembley
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Inghilterra-Ungheria. Quando un Falso Nueve incantò Wembley

La partita Inghilterra-Ungheria del 1953 mi fornisce lo spunto per parlare di qualcosa, come il falso nueve, che sembra originale ma non lo è.

 Inghilterra-Ungheria. Quando un Falso Nueve incantò Wembley

Ci sono partite che rappresentano uno spartiacque tra un prima e un dopo ovviamente e irreversibilmente diverso, molto diverso.

Qualche volta il cambiamento non si compie immediatamente, ma serve comunque a gettare il seme di un nuovo modo di intendere il calcio; a tal proposito mi viene in mente la finale mondiale del 1974, con l’Olanda, il nuovo modo di concepire il calcio, che non riuscì ad affermarsi, ma che, nondimeno, fece eccome proseliti.

Nella mia ideale e personale classifica di partite che hanno cambiato la Storia del calcio c’è di sicuro Inghilterra-Ungheria del novembre 1953.

Una partita preceduta da una attesa spasmodica, i dirigenti del partito comunista in Ungheria cercarono in tutti i modi di impedire al commissario tecnico Sebes di raccogliere la sfida; Sebes li convinse che gli Ungheresi e l’Ungheria sarebbero usciti vittoriosi da quella tenzone che vedeva contrapposti i maestri canonici del calcio (gli inglesi) contro gli aspiranti maestri, l’Ungheria, chiamata anche l’Aranycsapat, la squadra d’oro.

In realtà il Ct fece tutto o quasi da solo, accettando l’offerta di Stanley Rous, presidente del calcio inglese e futuro numero uno della Fifa, e di far pertanto cimentare i magiari Campioni Olimpici del 1952 a Wembley contro i padroni di casa. “E se dovessimo perdere? Faccia bene attenzione!” lo apostrofò stizzito Matyas Rakosi, segretario generale del partito comunista. Un invito all’attenzione che era una vera e propria minaccia.

Va detto e rimarcato che mai una squadra del “continente”aveva vinto sul suolo inglese, da novant’anni i Maestri non perdevano sul proprio campo. Il virgolettato su continente serve a sottolineare il riferimento alle squadre del continente Europa, con esclusione delle compagini nazionali del Regno Unito.

Perché?
Perché l’Inghilterra nel 1928 fu sconfitta a Wembley per 5-1 da una Scozia guidata dal formidabile e mai troppo ricordato interno dell’Arsenal Alex James. Una sconfitta che ancora brucia.

C’era attesa, dicevo, un cronista francese scrisse che “Varrebbe la pena costruire un tunnel sotto la Manica solo per poter andare a vedere una partita simile.”
La partita si giocò il 23 Novembre del 1953, e il 26 novembre il Daily Mirror uscì con il seguente titolo: “La mano di Dio è scesa su Wembley”.
Titolo a effetto, non trovate?

Nel lasso di tempo tra i due titoli giornalistici ci fu la partita.

Una partita che sembrava programmata solo per riportare in auge i maestri inglesi. Lo stadio era gremito in ogni ordine di posto, quasi 100mila persone presero posto nel Tempio del calcio per assistere a un rito religioso.

Anche il campo pesante favoriva i ben più prestanti inglesi rispetto al gioco tecnico dei mitteleuropei.

Ed è quando tutto sembra pronto che gli dei del calcio cominciano a ridere a crepapelle.

Il leggendario capitano Puskas, il colonnello, prima di battere il calcio d’inizio si esibì in una serie di palleggi e virtuosismi.

Poi, finalmente, si decise a battere il calcio d’inizio.

I magiari fecero girare palla, la sfera arrivò a Boszik e da lì partì il primo attacco: da Bozsik a Kocsis, da questi a Hidegkuti che prese palla spalle alla porta, si girò e segnò la rete dell’1-0 con un tracciante da fuori area.

L’ungheria, dopo 40 secondi, passò in vantaggio, a Wembley, senza far toccare palla agli inglesi. Il resto della partita fu non meno penoso per i figli d’Albione che andarono incontro a quello che oggi chiameremmo un Epic Fail.  

Hidegkuti, Kocsis, Puskas, Budai, Czibor e Boszik maramaldeggiarono su una squadra inglese che si trovò dinanzi una squadra stellare, che fece capire loro che avevano fatto il loro tempo, che erano dei dinosauri, e che adesso erano i magiari i nuovi maestri del calcio.

E non era affatto scarsa quella Inghilterra, dal momento che poteva contare su campioni del calibro di Stanley Matthews, leggendaria ala destra e primo pallone d’oro del calcio, sull’altro Stanley, vale a dire Mortensen, sul capitano, il leggendario Billy Wright, detto "The Ironbridge Rocket". Ma non c’era roccia capace di arginare lo strapotere dei ragazzi di Sebes che vinsero 6-3. E altri gol ancora avrebbero potuto marcare.

I cronisti dell'epoca rimasero estasiati e incantati da Hidegkuti, dal momento che il Guardian scrisse: “L'attaccante ungherese è stato visto più volte all'interno della propria area”.

Mentre, il Times recitò: “Giocando in posizione profondamente arretrata il centravanti avversario ha lasciato il povero Johnston completamente isolato e spaesato al limite della nostra area, ed è anche riuscito a segnare tre gol.”

Sì, Nándor Hidegkuti (foto) fece tre dei sei gol ungheresi.

Ok, direte. Tutto molto bello e interessante (almeno è ciò che spero), ma che c’entra con la storia del Falso Nueve?

Perché il Falso Nueve, un modo di dire di questi anni per indicare un finto centravanti, che in realtà agisce come trampolino di lancio e suggeritore per gli altri avanti, non è che una riedizione in chiave moderna di quello che una volta era detto “Centravanti alla Hidegkuti”.

La squadra d’oro, l’Aranycsapat, giocava con il falso nueve dei tempi nostri; con Hidegkuti che arretrava sulla trequarti per far spazio e per regalare palloni agli interni Kocsis e Puskas. E trovava pure spazio e tempo per vivere di luce propria.

I giornalisti e i cronisti sentono di tanto in tanto il bisogno di inventarsi qualche termine, ma nel calcio quasi nulla è ormai originale, se non chiamare “numero!” un passaggio di due metri.

Ma non solo Hidegkuti.

Negli anni ’60, e anche dopo, si parlava di centravanti alla Di Stefano, intendendo il modo di giocare dell’Argentino (di avi capresi) che fece grande il Real Madrid, capace di macinare chilometri, di regalare suggerimenti deliziosi, ancora una volta a Puskas, e di essere diverse volte Pichichi della Liga e bomber principe in Coppa dei Campioni.

E cos’era il Totti degli anni con Spalletti se non un raffinato “centravanti alla Hidegkuti”? Ma nessuno lo chiamava falso nueve.

No, questa storia del falso nueve è una moda recente.

E niente affatto originale.

Massimo Bencivenga  

 

 

 
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