Chile 1962. I giornalisti italiani e La Battaglia di Santiago
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Chile 1962. I giornalisti italiani e La Battaglia di Santiago

L'Italia arrivò in Cile con grandi aspettative, ma i cileni ci stavano aspettando con grande animosità, per via di due articoli scritti da giornalisti italiani.

Chile 1962. I giornalisti italiani e La Battaglia di Santiago

Dopo la magra figura rimediata in Svizzera nel 1954, e dopo l’onta della non qualificazione per i mondiali di Svezia 1958, quando non bastarono gli oriundi Da Costa, Montuori, Ghiggia e Schiaffino (gli artefici del Maracanaço) per aver ragione a Belfast della modesta Irlanda del Nord, l’Italia e gli italiani avevano grande fiducia nei mondiali cileni del 1962.

L’Italia era in pieno boom economico, ed era lecito, più che lecito, aspirare a riprenderci sul campo il ruolo che avevamo prima della Seconda Guerra Mondiale. E la critica calcistica internazionale la pensava allo stesso modo, dal momento che inserì la compagine azzurra tra le quattro favorite per la vittoria finale.
D’altronde, quasi sempre, lo sviluppo economico e i successi sportivi viaggiano a braccetto.

Ma il Sudamerica, ancora una volta, non ci portò fortuna.

In Cile i nostri ragazzi trovarono un clima ostile, quasi una caccia all’italiano. Perché questa acredine, questo livore?

La risposta va cercata in due articoli, diventati famosi, forse dovrei dire famigerati, nei quali due inviati italiani parlarono del Cile in modo ritenuto offensivo.

Il primo uscì a firma di Corrado Pizzinelli, in quel periodo come inviato della "Nazione": «Denutrizione, prostituzione, analfabetismo, alcoolismo, miseria. Sotto questi aspetti il Cile è terribile e Santiago dolorosamente viva, e tanto viva da perdere persino le sue caratteristiche di città anonima. Interi quartieri della città praticano la prostituzione all'aria aperta... Il Cile, sul piano del sottosviluppo, deve essere messo alla pari di tanti paesi dell'Africa e dell'Asia: ma mentre gli abitanti di quei continenti sono dei non progrediti, questi sono dei regrediti».

Parole pesanti alle quali vanno sommate quelle di Antonio Ghirelli, cronista sportivo per il "Corriere della Sera" che, inviato in Cile qualche settimana prima dell'evento calcistico, non trovò di meglio da scrivere che: «Il Cile è povero, piccolo, fiero. Ha accettato di organizzare questa edizione della Coppa Rimet come Mussolini accettò di mandare la sua aviazione a bombardare Londra. La capitale dispone di 700 posti letto. Il telefono non funziona. I taxi sono rari come i mariti fedeli. Un cablogramma per l'Europa costa un occhio della testa. Una lettera aerea impiega cinque giorni. Come metti piede a Santiago, ti rendi conto che l'isola di Robinson Crusoe galleggia tuttora a pochi passi da questa straordinaria striscia di terra lunga quattromila chilometri».

I cileni, questi due articoli, se li legarono al dito. Anche perché il sorteggio ci aveva messo proprio nel girone con i padroni di casa.

Allenatore dell’Italia era il bicampione del mondo Giovanni Ferrari, coadiuvato da Paolo Mazza e Mino Spadacini. Ma di fatto era lui che decideva. E decise di portare, in quella terra ai nostri antipodi, i seguenti calciatori:

Buffon (padre), Mattrel e Albertosi portieri.
 Losi, Radice, Salvadore, Maldini, Janich, Tumburus e Robotti come difensori.
Trapattoni, Mora, Maschio, David, Ferrini, Rivera e Bulgarelli come centrocampisti.
Altafini, Sívori, Menichelli, Sormani e Pascutti come attaccanti.  

L'Italia, come avevo cominciato a dire, fu sorteggiata in un girone comprendente, oltre ai padroni di casa, anche la Germania Ovest e la Svizzera.  
La prima partita fu contro i tedeschi, e si risolse in uno scialbo 0-0, bastevole solo a far capire però il clima con cui veniva accolta la nostra nazionale, il cui albergo era stato preso quasi d’asssedio da migliaia di cileni inferociti per i due articoli.

Non paga di aver reso la nostra nazionale la squadra da odiare, la stampa acuì ancora di più la tensione criticando aspramente il pareggio con una Germania Ovest invero abbastanza mediocre.

Ferrari e i suoi non ressero alla tensione, e per la partita con il Cile, operarono una piccola rivoluzione. Fuori Buffon, Sivori, Rivera, Losi, Radice e Maldini e dentro Mattrel, David, Tumburus, Janich, Mora e Maschio.

E si arrivò alla Battaglia di Santiago del 2 Giugno del 1962.

I nostri azzurri scesero in campo in un clima che definire rovente significa usare un pallido eufemismo. Una di quelle partite-farsa dal risultato già scritto. Ma si andò oltre, al punto che anche la stampa estera si fece sentire.

Bild Zeitung, scrisse: «La partita è stata una tragica farsa. Sembrava che undici giocatori dovessero esser condotti al patibolo davanti ad una folla sadica».

L'Equipe ci andò ugualmente duro: «Cile-Italia non ha raggiunto, ma superato i limiti dello scandalo. Tutto è avvenuto sotto lo sguardo di un arbitro, il signor Aston, costantemente ai limiti della debolezza, senza autorità nel fisico come nel comportamento, colpevole ai nostri occhi di essersi lasciato influenzare dalla presenza del pubblico cileno».

Ma cosa successe? Di tutto, semplicemente. Quanto ho scritto sopra corrisponde alla verità, quella partita è davvero universalmente conosciuta come La Battaglia di Santiago, con il pestaggio cileno agli azzurri spalleggiato da un condiscendente arbitro, l’inglese Aston.

Dopo nemmeno cinque minuti, Humberto Maschio, oriundo, ex angelo della faccia sporca (insieme a Sivori e Angelillo) si beccò un pugno in faccia da Leonel Sanchez. L'arbitro fece finta di non vedere. Maschio rimase in campo, anche perché le sostituzioni non erano ancora ammesse, ma era come uno zombie, completamente stordito.

Al 7' minuto, la mezz'ala azzurra Ferrini, non appena vide il solito Sanchez avvicinarsi minaccioso, lo anticipò con un destro. Il cileno stramazzò a terra inscenando una sceneggiata. Larbitro questo voleva ed espulse Ferrini.

Sempre Sanchez, poco dopo, rifilò uno sberlone a David, che ebbe un gesto di reazione, bastevole, agli occhi dell’ineffabile arbitro, a mandarlo a far compagnia a Ferrini.

Tutto ciò ben 40 anni prima di Byron Moreno.

L’Italia in nove, con Maschio che non conta perché quasi stordito, si chiuse a riccio davanti a Mattrel, ma al 29’ furono infilati da Ramirez e a pochi minuti dalla fine il “boxer” Sanchez raddoppiò.

A nulla valse, qualche giorno dopo, l’affermazione per 3-0, con marcature di Mora e doppietta di Bulgarelli, sulla Svizzera. L’Italia del 1962, che avrebbe dovuto rivaleggiare o quasi con il Brasile di Pelè e la Spagna, altra grande delusione del torneo. In finale con i carioca, che fecero a meno di Pelè andò la Cecoslovacchia.

 

 

Massimo Bencivenga 

 
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