 L’immaginario collettivo degli amanti del calcio è popolato di squadre e suddiviso, categorizzato, al fine di una migliore memorizzazione, in cicli. E allora abbiamo il ciclo della Juventus degli anni trenta, la squadra dei campioni del mondo Ferrari Giovanni, Combi, Rosetta, Calligaris, dell’oriundo Mumo Orsi e di quel Cesarini tante volte chiamato in causa con la sua famosa Zona Cesarini. Successivamente c’è stata la grande Inter di Moratti, del padre di Massimo, degli anni sessanta. La squadra di El Architecto e pallone d’oro Luis Suarez, di Mariolino Corso “il piede sinistro di Dio”, di Sandrino Mazzola, dei compianti Picchi e Facchetti e del grande Helenio Herrera al secolo HH. E ancora, rimarrà nella storia la Juventus del Trap e di le roi Michel Platini, dei campioni ispanici Zoff, Gentile, Cabrini, Tardelli, Causio, la Juventus di Scirea e Bettega.
E’ stata poi la volta del Milan di Sacchi e di Berlusconi, degli olandesi e di Baresi, di Weah, Donadoni e Savicevic ad infiammare gli appassionati.
La famosa Inter dei record ha ballato una sola stagione e non aprì nessun ciclo. Ebbene in questo periplo di grossi squadroni italici un posto di rilievo, di assoluto rilievo lo merita il Grande Torino. La formazione del Torino aveva vinto cinque scudetti consecutivi, dalla stagione 1942-'43 alla stagione 1948-'49 (i campionati '43-'44 e '44-'45 non vennero disputati a causa della seconda guerra mondiale) e costituiva i 10/11 della nazionale. Una formazione leggendaria, atleti straordinari quali il portiere Bacigalupo, il difensore Maroso, il centrocampista Loik, gli attaccanti Menti, Ossola e Gabetto. Su tutti torreggiava, come un vascello su una barchetta, il sommo Valentino Mazzola, padre di Sandro Mazzola e considerato uno dei più grandi calciatori italiani all-time come direbbero negli Usa. Ebbene l’aereo che riportava a Torino questa squadra, di ritorno da un’amichevole contro il Benfica, si schiantò sulla collina di Superga poco dopo le 17:00 del 4 maggio 1949. Morirono, insieme ai calciatori, i giornalisti Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport); Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa). A identificare le salme dei periti vennero chiamati, tra gli altri, l'ex commissario tecnico Vittorio Pozzo, che conosceva molto bene i calciatori del Torino. Si salvò dalla tragedia lo spezzino Sauro Tomà grazie ad un, provvidenziale in questo caso,infortunato al menisco. I comunicati meteo dell’epoca narrano di
: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima (40 metri); l’ultimo contatto radio con l’aeroporto di Aeritalia fu registrato circa 5 minuti prima dell’impatto sulla collina di Superga. Se ne andò una squadra leggendaria, una squadra che avrebbe potuto, ovvio che il condizionale è d’obbligo fare meglio della nazionale che portammo ai mondiali del 1950. Il Toro è l'ultima grande squadra italiana che giocava con il sistema e, più raramente, con il metodo; poco dopo la scomparsa del Grande Toro il calcio italiano virò decisamente verso il "catenaccio", evoluzione italiana del Verrou. E' stata, in altre parole, l'ultima grande squadra italiana fortemente basata sulle individualità prima che si cominciasse a preferire la tattica alle individualità, il gruppo al singolo. Valentino Mazzola suonava la carica, il popolo granata batteva i piedi sulle gradinata e per le squadre avversarie, frastornate sul campo e fuori, c'era ben poco scampo. Poco dopo anche al Manchester United capitò una tragedia del genere, ma i Red Devil seppero riprendersi rapidamente, tanto che, dopo circa un decennio, vinsero la Coppa dei Campioni. Il Grande Toro invece non ha più raggiunto simili vette, eccezion fatta per uno scudetto nel 1976 e una finale di Coppa Uefa nel ’92 con Mondonico in panca. Rimane il dolore per una tragedia e le storie raccontate da cronisti che “una squadra così non s’è più vista”.
: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima (40 metri); l’ultimo contatto radio con l’aeroporto di Aeritalia fu registrato circa 5 minuti prima dell’impatto sulla collina di Superga. Se ne andò una squadra leggendaria, una squadra che avrebbe potuto, ovvio che il condizionale è d’obbligo fare meglio della nazionale che portammo ai mondiali del 1950. Il Toro è l'ultima grande squadra italiana che giocava con il sistema e, più raramente, con il metodo; poco dopo la scomparsa del Grande Toro il calcio italiano virò decisamente verso il "catenaccio", evoluzione italiana del Verrou. E' stata, in altre parole, l'ultima grande squadra italiana fortemente basata sulle individualità prima che si cominciasse a preferire la tattica alle individualità, il gruppo al singolo. Valentino Mazzola suonava la carica, il popolo granata batteva i piedi sulle gradinata e per le squadre avversarie, frastornate sul campo e fuori, c'era ben poco scampo. Poco dopo anche al Manchester United capitò una tragedia del genere, ma i Red Devil seppero riprendersi rapidamente, tanto che, dopo circa un decennio, vinsero la Coppa dei Campioni. Il Grande Toro invece non ha più raggiunto simili vette, eccezion fatta per uno scudetto nel 1976 e una finale di Coppa Uefa nel ’92 con Mondonico in panca. Rimane il dolore per una tragedia e le storie raccontate da cronisti che “una squadra così non s’è più vista”.
Uno degli scudetti della guerra, quello del ’44, venne vinto dal La Spezia ed è, ancora oggi, oggetto di una feroce controversia circa la legittimità del titolo. Fu di certo un torneo anomalo, diviso per zone geografiche, ma nella finale i Vigili del Fuoco di La Spezia, così si chiamava la società, battè il Grande Torino di Mazzola per 2-1.
Massimo Bencivenga |