 La sconfitta per 2-0 della nazionale di calcio di Lippi ad opera della nazionale carioca di quel Carlos Dunga che giocò in Italia nel Pisa del compianto presidente Romeo Anconetani è solo l’ultimo, per ora, atto di una recita iniziata in Francia nel 1938.
Due nazionali che da sole possono vantare di aver vinto la metà dei mondiali di calcio disputati. In questa cavalcata ci sono stati momenti belli e brutti, per noi e, in modo assolutamente duale, per loro. Negli occhi degli appassionati di calcio di tutto il mondo c’è l’elevazione, oltre Burgnich, la torsione e il colpo di testa in rete, di O’Rey Edson Arantes do Nascimiento, al secolo Pelè nella finale del ’70, quella che assegnò definitivamente la Coppa Rimet alla nazione della samba, del caffè e delle belle donne. A nulla servì la rete di Boninsegna, e meno ancora i sette minuti di Rivera.
Otto anni dopo, nell’argentina della Junta dei colonnelli ancora il Brasile, e ancora una finale: questa volta per il terzo posto. L’Italia si portò avanti con il lavoro per effetto di un colpo di testa del barone Franco Causio, ma due tiri maligni di Dirceu e Nelinho, mentre Bettega colpiva l’ennesimo legno, condannarono Zoff e l’Italia
La rivincita era di là a venire. E che rivincita. Contro il Brasile dei palleggiatori divini Falcao, Socrates, Junior, Cerezo, del gran tiratore Eder, stimato ai tempi dell’82 come dotato del tiro più forte del mondo, e del galinho Arthur Antunes Coimbra Zico, Bruno Conti e Paolo Rossi fecero il capolavoro. Tre gol di Rossi che cominciava a diventare Pablito e Brazil a casa con Zoff che si superò su maligna incornata di Oscar.
Eccoci dunque alla finale nella sauna, o serra fate voi di Pasadena, California, Usa. La partita di Baggio e di Dunga capitano in campo e fuori; la partita del recupero lampo e della prestazione monstre di Franco Baresi.
La partita dei rigori.
Baggio calciò alto e mandò in orbita il Brazil tetracampeao. Intorno a quei rigori sono sorte tante leggende, c’è anche chi parla di macumba ma, sia come sia, arrivò un’altra delusione.
L’ultima partita, quella all’Emirates Stadium, griffata dai gol di Elano e Robinho è stata solo un’amichevole di lusso.
Nel ’97, un anno prima dei mondiali, si giocò un torneo con Inghilterra, Francia, Brasile e italia. La partita con il Brasile finì con un pirotecnico 3-3; Del Piero fece una doppietta e per i carioca segnarono un giovanissimo, e fortissimo Ronaldo, e Romario do Souza Faria, ma ad incantare gli italiani fu Denilson.
Ma quella prima volta, nel ’38, come finì? La leggenda vuole che i carioca si sentissero così superiori da lasciare a casa e far riposare per la finale, la partita contro l’Italia fu in semifinale, il loro miglior uomo, il “diamante nero”, Leonidas.
In verità Leonidas era uscito malconcio dalla partita contro la Polonia, partita nella quale aveva marcato 4 reti; per la Polonia invece 5 reti contro il Brasile le realizzò Willimowski, qualcuno sostiene 4. Le cinque reti di Willimowski saranno eguagliate da Schiaffino e tal Salenko, quest’ultimo nei mondiali statunitensi marcò cinque reti contro il Camerun che invece, con Roger Milla, mandò in rete il calciatore più anziano, forse 42 anni.
Ma torniamo al 1938, i brasiliani avevano già preso anche i biglietti per Parigi, ma non avevano fatto i conti con il pragmatismo calcistico degli italiani.
La partita fini 2-1 per l’Italia e il secondo gol, su rigore, fu segnato da Pepin Meazza tenendosi i pantaloni perché s’era rotto l’elastico.
E questa non è una leggenda.
Ma l’inizio della leggenda Italia-Brasile.
Massimo Bencivenga |