Morto Socrates, uno sportivo ed un simbolo, come Muhammad Alì e Oscar De La Hoya
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Morto Socrates, uno sportivo ed un simbolo, come Muhammad Alì e Oscar De La Hoya

Il capitano del Brasil che venne a giocare all'ombra del Giglio si è spento per gli effetti di una malattia. Verrà ricordato come calciatore e per l'impegno politico

Morto Socrates, uno sportivo ed un simbolo, come Muhammad Alì e Oscar De La Hoya

 

Che lo sport sia un modo per affrancarsi da una vita di stenti è risaputo, che sia anche un modo per veicolare idee politiche è meno risaputo ma nondimeno meno importante.
Negli anni ’60 c’erano Martin Luther King e uno che si chiama Cassius Clay, un pugile che volava come una farfalla e pungeva come un’ape. Si chiamava Cassius Clay, ma il mondo lo conosce come Muhammad Ali.

Combattevano in modo diverso lui e Martin Luther King, ma è anche grazie a loro, alle loro battaglie, alla loro immagine, alla loro fisicità (ho ancora negli occhi Alì affetto dal Parkinson ultimo tedoforo ad Atlanta ’96)che Obama è adesso POTUS (President Of The United States). Così come una battaglia personale e politica l’ha portata avanti per anni Oscar De la Hoya, il pugile eroe dei chicanos messicani emigrati in California, lo sportivo che portava sul ringu due bandiere: quella a stelle e strisce e quella messicana.
Ieri è morto Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, al secolo Socrates, Pallone d’Oro sudamericano nel 1983.

 

 

Diversamente da Alì, lui era nato bene, aveva studiato medicina (io sapevo veterinaria), apparteneva all’Intellighenzia bianca che comanda il Brasil, eppure il suo animo era inquieto, insoddisfatto, pervaso com’era dall’idea di uguaglianza sociale molto sentita nel Sudamerica del Che Guevara. Come lui era un hombre sin paz, era arrivato al punto da abolire l’allenatore e di istituire l’autogestione dei calciatori. La classe operaia in paradiso.

Era il capitano, l’eroe avverso, dell’epica partita Italia - Brasile 3-2, una delle dieci partite che costituiscono, insieme a Italia-Germani 4-3 l’epopea azzurra. Fu un suo gol, quello del 2-2, a farci disperare, a far piombare le speranze azzurre. Prima che Pablito facesse tris.

Poco dopo venne in Italia ma, contrariamente agli altri componenti (Zico, Edinho, Junior, Cerezo, Falcao) di quella nidiata carioca di fenomeni, lui non riuscì ad ambientarsi a Firenze, soffrendo forse la suadade e la difficile coabitazione in campo con il bello di Firenze: Giancarlo Antognoni. O forse fu qualcos’altro; fatto sta che lui fu per Firenze quello che, Hansi Muller, un altro campione raffinato fu per Milano: un bidone.

Da quelle parti lo ricordano più per le tiritere politiche che per i colpi di tacco. Ieri è morto, e proprio ieri il Corinthians, la squadra che lo vide grande si è aggiudicato il titolo carioca.

Gli dei del calcio a volte sanno essere veramente brillanti quanto vogliono.

Ta bom, Adeus Doctor Socrates, e obrigado.

 

Massimo Bencivenga

 

 
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