 Ci sono cose che in Italia non si possono nominare, non senza scottarsi e non senza impelagarsi in una sempiterna discussione che parte da oggi e, giusto perché la diversità di vedute è il carburante dei conflitti, porta al risorgimento in prima battuta, e giù giù, in una folle marcia all’indietro nel tempo, sino alle servitù feudali. O perlomeno, lì si prende fiato… Le due paroline da non dire sono: Fascismo e Comunismo. In ogni immaginabile variante dello spettro e ad ogni latitudine possibile. Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo (nazismo) e del fascismo, dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.
Ovviamente il giorno non è scelto a caso, gli umanoidi sembrano dare grande importanza ai simbolismi nascosti nelle date, e la scelta del giorno ricorda il 27 gennaio 1945. Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (nota con il nome tedesco di Auschwitz-Birkenau), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista. Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall'ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005. Bene. Tutto molto giusto, solo che… solo che la storia e gli uomini mostrano una strana smemoratezza, un asimmetrico giudizio. I regimi di tipo comunista, anche laddove defenestrati e sostituiti da una qualche forma, una qualsiasi, di democrazia sembrano essere trattati meglio. Almeno da un punto di vista storico. E questo ci porta ad un’altra parolina magica di questi tempi: la parola “revisionismo”. In tale ottica molti storici italiani hanno trovato il coraggio di raccontare gli anni immediatamente precedenti alla fine della seconda guerra mondiale, e poco dopo la fine della stessa. Una pagina che può essere facilmente ascritta come la prima, mai accettata e dichiarata, guerra civile italiana: fascisti contro comunisti. Italiani contro italiani in una giustizia sommaria che sapeva di sangue e vendetta. Bene dicevamo, giusto non dimenticare l’orrore. Per non ripeterlo. Ma andrebbe spesa una parola anche per i deportati di Stalin, per le persone che hanno sofferto a causa di Pol Pot; e in modo assolutamente analogo, per i sudamericani sotto Pinochet, gli argentini della giunta dei colonnelli, per Bokassa che era forse anche cannibale. E molto hanno, e avranno, da raccontare anche cubani e cinesi. Situazioni diverse direte, e a ragione. Niente è mai uguale. Però del primo, forse, genocidio del novecento, ossia quello subito dagli armeni sono in tanti, molti e troppi, a dimenticarsene.
O forse per la comunità internazionale gli ebrei contano più degli armeni?
Massimo Bencivenga |