 1914-1918. La Grande Guerra. C’erano i giganti a quel tempo sulla terra; le nazioni erano imperi.
Da quest’anno, e negli anni a venire, verranno celebrate numerose ricorrenze e commemorazioni per il Centenario ma, al solito, si fanno figli e figliastri. Sui libri di Wilbur Smith ho appreso che la Grande Guerra non fu solo europea o bianca, ma interessò anche altri continenti, per via del legame degli imperi con le colonie.
Quello che ho appreso più di recente è che il primo di quella Guerra fu sparato non già in Europa, bensì in Africa. Il primo colpo di fucile della Grande Guerra fu sparato da Alhaji Grunshi, sergente dell’esercito della Costa d’Avorio, afferente quindi alle forze anglo-francesi. Il colpo fu sparato il 7 Agosto del 1914 a sud del Sahara, nella regione del togoland, che era, come la Namibia, una colonia tedesca.
Il primo colpo fu sparato in Africa, dunque. Ma anche l’ultimo.
L’Armistizio dell’11 Novembre non fu rispettato in Africa, laddove si combatté sino al 25 Novembre, sino a quando, nella Rodesia del Nord, l’odierno Zambia (luogo natale del già citato Wilbur Smith) non si arresero le truppe del grande generale tedesco Paul Emil von Lettow-Vorbeck.
Il primo e l’ultimo colpo della Grande Guerra furono sparati in Africa. Ciononostante, il Continente Nero rischia di restare ai margini in questi anni di ricorrenze e festeggiamenti, anche se francamente non ne vedo i motivi, per far festa intendo, o perlomeno in modo chiassoso e con gran spreco di soldi e risorse.
Kathleen Bomani e Jacques Eneadeau, una blogger tanzaniana e un geografo francese, hanno pensato a The World War I in Africa Project, una iniziativa orientata a far conoscere il ruolo dell’Africa nella Prima Guerra Mondiale.
Se la Grande Guerra in Europa è ricordata come una guerra di trincea e logoramento, con la famosa pausa di Natale per la partita di calcio, ben diverso fu il discorso in Africa.
Nel Continente Nero la Grande Guerra fu una questione di movimento e rapidità.
Gli africani morti durante la Prima Guerra Mondiale non furono gli ascari, ossia gli uomini delle tribù e delle etnie coscritti nei rispettivi imperi, bensì i portatori, gli uomini, le donne e i bambini (sì, anche i bambini) usati come facchini. Morirono perlopiù di fame, di fatica e di stenti.
Sono le vittime silenziose della Untold Tragedy, della tragedia mai raccontata. Sono le vittime per le quali si batte l’iniziativa di Bomani e Eneadeau.
Solo in Kenya, morirono 45000 portatori, su uno scacchiere, quello dell’Africa Orientale che copriva quasi due milioni di chilometri quadrati..
In totale si stima che gli africani impiegati nella Prima Guerra Mondiale furono intorno ai due milioni, con vittime tra i portatori per oltre un milione. Va detto che al numero contribuirono alcune carestie e la terribile influenza spagnola. Erano apprezzati perlomeno? Vi lascio immaginare la cosa dalle parole del generale Charles Mangin, che ebbe a dire che i tiratori senegalesi, in virtù di “un sistema nervoso poco sviluppato” e dell’”atavico fatalismo”, erano in grado di “dormire in trincea nel mezzo di una battaglia”.
Insomma, sacrificabili eccome. E negabili anche. Il generale statunitense George Beer, durante la Conferenza diPace di Parigi nel 1919, dove in pratica ci fu la spartizione del bottino, disse: “Il numero delle vittime tra le popolazioni locali potrebbe essere troppo elevato per comunicarlo all’Africa e al Mondo”.
La Bomani riferisce che “nonostante le perdite ingenti di vite umane e le gravi conseguenze per il futuro del continente il lato africano della storia resta una nota a piè pagina”, per tacere del fatto che “i popoli colonizzati sin ritrovarono a combattersi l’un l’altro senza capire il perché”.
Ma questo, cara Bomani, lo possono dire anche i contadini del sud e del nord che si ritrovarono, fianco a fianco, nelle trincee.
Credi che a loro sia stato dato un Perché?
Massimo Bencivenga |