Casa Pound occupa Fiat Center. E questi non sono comunisti
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Casa Pound occupa Fiat Center. E questi non sono comunisti

Pomigliano d'Arco e Termini Imerese sono la punta dell'iceberg di un malessere che nel 2010 rischia di

Casa Pound occupa Fiat Center. E questi non sono comunisti

Lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco rischia seriamente di diventare una patata bollente per molti attori della cosiddetta “società”. Nonché un bubbone mica da ridere che rischia di scoppiare nel 2010 mettendo in ginocchio l’Italia.
E’ arrivato anche dal Papa un caloroso appello a “Salvate la Fiat”. La Fiat ha tutto l’interesse a chiudere e a delocalizzare in paesi dove la manodopera costa di meno e i sindacati sono meno invasivi.
Il management fa il proprio lavoro, magari sporco quanto si vuole, ma questo è il loro compito.

I sindacati in Italia, e con essi larga parte della sinistra, hanno da tempo smesso di stare dalla parte dei lavoratori, da almeno 30 anni; ed in questi 30 anni hanno pensato solo a lucrare sugli iscritti, a fare carriera mentre ben poco, e quasi nulla, è stato fatto proprio dopo l’introduzione dell’euro e delle “mani nelle tasche” degli italiani.
Non solo non c’è stata lotta, ma neanche controllo; D’Antoni e Cofferati ne hanno approfittato per diventare politici. Qualcun altro è entrato in banca e nei Cda.

 

 

Marchionne ed il suo staff vanno ripetendo in questi giorni che “non c'è niente che non sia stato già annunciato con largo anticipo, quando abbiamo ripetuto che senza gli incentivi ci sarebbero state conseguenze sulle fabbriche”.
Ancora. Ma quante volte deve essere aiutata la Fiat.
Da sempre è partner privilegiata per tantissime commesse di Stato, da sempre usa l’arma del licenziamento e della cassa integrazione per spillare soldi allo Stato; lo stesso Stato ha permesso che un paese civile si riducesse ad una “marca di bandiera”.
Sapete dove sono finite le varie Innocenti, Autobianchi, Ferrari, Maserati, Lancia, Alfa Romeo e così via? Nel calderone del Lingotto.
Quale paese civile e con una spiccata vocazione democratica ed industriale avrebbe permesso una cosa del genere? Lo stesso paese che ha permesso l’analogo in campo aereo con Alitalia.
Il paese che da sempre è abituato a fare figli e figliastri: l’Italia.
Marchionne ribadisce che  “la Fiat non cerca lo scontro col governo e con il sindacato”.
La Fiat dal governo vuole solo soldi. La proprietà Fiat, nella persona di John Elkann, plenipotenziario per investitura dell’Avvocato Gianni Agnelli, della Holding di famiglia rivela, serafico, che  “Non lasceremo Torino e l'Italia. Qui c'è la nostra testa, qui c'è il nostro cuore”.
Come non credere a dei ragazzoni, come John e Lapo, in causa con la madre per l’eredità? Anche in quella causa ci sono testa e cuore non credete? E soldi. Tanti.

La Fiat confida nel motto che ha salvato anche l’Alitalia, lo diciamo in inglese perché è più fico e perché così magari lo capiranno anche gli Elkann.
La Fiat, con la stretta su Pomigliano d’Arco e Termini Imerese, confida nel “too big to fail”: troppo grande per essere lasciata fallire.

Vista l’esperienza con l’Alitalia forse il fallimento sarebbe il male minore; perlomeno non indebiteremo ancora di più i bambini che ancora devono nascere. Solo che.. solo che tanti di questi operai hanno famiglia, hanno dei mutui accesi, hanno investito contando sullo stipendio Fiat. Nel momento in cui perderanno il lavoro e finirà la cassa integrazione cosa faranno le banche? Metteranno i mutui non pagati in conto perdite e amen?

E lasciamo anche perdere l’indotto e soffermiamoci su un’altra considerazione: in Campania e in Sicilia queste tipologie di lavoratori, in terre martoriate e senza troppa occupazione, rappresentavano dei “privilegiati”, nel senso che disponevano di qualcosa che non tutti avevano. Ed erano privilegiati anche per finanziarie, banche, immobiliari e così via. Erano consumatori forti. Erano. Se anche loro tirano la cinghia quanto sarà il danno in Campania e Sicilia?
Poco male direte. Solo che il problema del 2010 non è solo Pomigliano d’Arco e Termini Imerese.

C’è la locomotiva del Nord-Est che sta rallentando (anche il trevigiano); ci sono le filiere Romagnole in difficoltà; le imprese di Marche, Liguria e Toscana in sofferenza. Per tanti c’è, o ci sarà nel 2010, la cassa integrazione. Ma anche quella prima o poi finirà. E poi? Eccolo qui il bubbone che rischia di mettere in ginocchio l’Italia.

 

 

Il Governo delle finanziarie “creative” non ha molta voglia di aumentare una già difficile situazione fiscale, né può lanciarsi troppo in azioni da repubblica delle banane. Non senza incappare in qualche richiamo UE. I politici continueranno a farsi vedere in fabbrica, a rasserenare animi, a tranquillizzare operai che il giorno saranno in cassa integrazione. Perché questo fanno, si fanno vedere. Ma per quanto tempo potranno ancora farlo senza rischiare qualche ceffone? Ci si è infilati in un brutto vicolo cieco, dal quale se ne potrebbe uscire solo rompendo i tradizionali schemi. Schemi che nessuna impresa, nessun sindacato e nessun politico ha voglia di rompere.  

Mentre scrivo una Ansa ha battuto la notizia che Casa Pound, qualcuno spieghi a Berlusconi che questi NON sono COMUNISTI, ha occupato il Fiat Center di Roma stendendo uno striscione “Fiat odia l’Italia”. Pare che delle occupazioni simboliche, sempre ad opera di Casa Pound, siano in corso in tutta Italia.

                                                         Massimo Bencivenga

 

 
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