 Un nuovo flagello si sta abbattendo sull’Italia. State tranquilli non c’è nessuna calamità in arrivo, i vigili del fuoco e gli uomini della Protezione Civile possono per adesso restarsene al calduccio nelle caserme; cionondimeno siamo dinanzi ad uno Stato di emergenza. Di quale Stato di emergenza sto parlando? Della scellerata, inaudita abitudine degli italiani al gioco. Un’abitudine che ha avuto una impennata grazie ad Internet che, come al solito ai nostri tempi, funge da amplificatore e cassa da risonanza di ogni evento. Se fino a 10 anni fa bisognava spostarsi fisicamente per giocare adesso lo si può fare, si può perdere intendo, stando comodamente seduti a casa propria.
Di tanto in tanto i telegiornali e i format di approfondimento toccano l’argomento, ma poco o nulla viene fatto per arginare questa piaga dei tempi.
Ogni tanto si sente di qualche famiglia rovinata a causa del demone del gioco, raramente scorre del sangue per fortuna, ma anche precludere una vita decente, per colpa del gioco, ad un bambino è qualcosa di criminale non credete? Il guaio è che realmente trattasi di una malattia.
Chi come me frequenta con un certo distacco questi luoghi vede intorno a sé una umanità per certi versi dissociata. Ci sono persone che arrivano a distorcere la realtà pur di dar ragione al loro (fallace) teorema. Molti di loro dicono di aver perso chissà quanti soldi per un solo punto, nella quasi totalità dei casi non è vero, mistificandoo i loro stessi errori si prendono in giro da soli. O forse a loro piace credere così, non lo so. Si aggrappano ad ogni segno o superstizione possibile (dal vestito alle persone presenti, con speciale attenzione a quelli che ritengono iettatori!), ma non passa mai loro per la testa che le slot, in quanto macchine elettroniche, possano essere state programmate per far vincere la macchina.
E’ quello che i probalistici chiamano “gioco non-equo”. E lo sono tutti, dal lotto al win for life! Ah, ognuno di questi incalliti giocatori blatera di probabilità..
Come ogni dipendenza è difficile, estremamente difficile da curare. Il giocatore reagisce come un qualsiasi altro drogato. Non importa più vincere o perdere, l’importante è sentire le sensazioni dell’attimo rivelatorio: quello che dice se hai vinto. O se hai perso. Nel limbo dell’incertezza pre-risultato c’è la ragion di vita del giocatore incallito, la linfa che lo tiene attaccato ad una slot o a un mouse. Sarebbe il caso di attivare delle contromisure sociali alla dilagante droga del poker online. Adolescenti ed adulti si sfidano attorno ad un tavolo virtuale, avatar ospitati su server siti in chissà quale nazione, senza che i familiari si possano accorgere di alcunché. Prima che sia troppo tardi, s’intende.
Pascal e Fermat, Bernoulli e Poisson, Laplace e Gauss, e tanti altri matematici che, spesso a partire dai giochi hanno tirato fuori teorie interessantissime –basti pensare all’importanza del Metodo Montecarlo- proprio non sono riusciti ad insegnarci nulla. Proprio non lo vogliamo capire che vince (in media) il banco e non il giocatore. E quando lo capiremo?
Il dilagare poi dei giochi e la frequenza con la quale ne vengono immessi di nuovi sul “mercato” è sintomatica della difficoltà dell’economia italiana. Ricordatevi che il gioco è una forma di tassazione. Alcuni economisti si spingono ad avanzare una correlazione inversa tra il numero delle lotterie e lo stato di salute di una nazione. Gli stessi escludono però da tale teoria nazioni quali l’Inghilterra e gli Usa, laddove ravvisano un elemento culturale legato alle scommesse.
Dal punto di vista sociale è anche il fallimento della speranza che una nazione deve infondere nei cittadini. Le persone si affidano al dio del caso (o del caos, fate voi!) perché disperano di cambiare in meglio la loro vita facendo affidamento sulle opportunità che lo Stato offre loro.
Che dire, auspichiamo qualche soluzione creativa; come quella di tassare in misura minore i bar che faranno a meno delle “macchinette”.
Massimo Bencivenga
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