 Abbiamo ancora negli occhi le immagini di una Buenos Aires letteralmente incendiata, una lotta al si salvi chi può con governi che avevano un arco temporale misurato in settimane e con polizia ed esercito in assetto antisommossa. Sono le immagini della bancarotta d’inizio millennio eppure sembrano di un secolo fa. Forse le abbiamo rimosse, abbiamo voluto rimuoverle. Nel 2006 le “tigri” europee avevano dei nomi simili: Islanda ed Irlanda. L’attuale sorte è simile. L’Islanda è già alla bancarotta, l’Irlanda sta per essere inghiottita dalla stessa spirale.
Le buone, si fa per dire, notizie non finiscono qui. Voci e rumors sempre più insistenti parlano di un’altra nazione sull’orlo del default, un’altra nazione dell’area euro.
Una nazione che è stata anche capitale di un Impero, una nazione attraversata dal bel Danubio blu: l’Ungheria è con l’acqua alla gola, il premier si è già dimesso. Più in generale gli analisti guardano con una certa inquietudine a tutto l’est europeo, anche la Lituania è pressocchè in una situazione simile. Presto potrebbero trovarcisi anche Bielorussia, Ucraina, Polonia e Romania. Bene, cioè male. Se l’Islanda e l’Irlanda potevano sembrare lontane agli occhi dell’Italia la situazione è completamente diversa nel caso delle repubbliche dell’est. Attratti dagli investimenti copiosi dell’area euro molti italici imprenditori hanno profuso energie e soldi in quest’area; energie e soldi che potrebbero svanire nel caso di un drammatico tracollo. Per adesso l’Ungheria si mantiene a galla solo grazie agli aiuti del Fmi e della Banca Mondiale, soldi che dovrà comunque restituire. E con gli interessi. L’argentina a suo tempo scelse di non rivolgersi più a tali organismi, famosa la frase di Kirchner “c’è vita oltre il Fmi”. Ed è una bella vita. L’argentina non è uscita dal tunnel economico, si è sdoganata però dagli “usurai legalizzati”. Altro nodo spinoso sono le banche. I nostri principali competitors, parlo soprattutto di Unicredit, in vista sempre degli investimenti, e forti di una liquidità ed un cambio estremamente favorevole, hanno fatto man bassa di banche ed istituti finanziari slavi e magiari acquisendo importanti quote o addirittura scalando gli stessi. Usando anche i soldi dei risparmiatori italiani. Un collasso economico equivarrebbe ad un’emoraggia finanziaria capace di prostrare le nostre banche. Gli analisti tuttavia invitano a non abbandonare la nave che affonda, gli stessi però ragionano e speculano su soldi e sacrifici altrui. Sempre gli stessi analisti, e più specificatamente quelli di JP Morgan, hanno incluso l’Italia in una short list di Stati a rischio bancarotta; in questo elenco includono l’Italia terza dopo Irlanda e Grecia. Per adesso tocchiamo ferro. Urgerebbero però delle politiche economiche impopolari e severe, decisioni che ancora non sono state prese, nè sembrano essere al vaglio. L’orchestra suonava mentre il Titanic affondava…
Massimo Bencivenga |