
Ci sono atleti, in ogni sport, che sono predestinati. In loro vedi una scintilla di luce in più, un carisma maggiore; splendono, illuminano come supernove e con la loro luce oscurano le stelline e le meteore che hanno la sventura di passare, in quel tempo, accanto a loro. Queste supernove oscurano illuminando.
Lewis Hamilton, nome da figlio del vento e cognome da matematico, è uno che “sa cos’è la velocità”, per dirla con i piloti, ma sa anche fare i conti, e con approssimazioni minime, come solo i grandi matematici sanno fare. L’anno scorso ha perso di un punto, quest’anno ha vinto di un punto. Due corse al cardiopalma e due finali thrilling. L’anno scorse la sua macchina l’abbandonò, da remoto, dai box, non riuscirono a rimetterla in sesto e lui, non si sa come, manualmente, riuscì a farla ripartire. Ma fu troppo tardi.
Ieri anche Giove, pluvio e capriccioso, sembrava tramare contro il giovane ragazzino nero destinato sin dalla sua apparizione a diventare il più giovane vincitore di un mondiale. Nell’epica che mi propinavano alle medie, chissà se si fa più, mi insegnarono che contro il volere del Fato nulla poteva neanche Zeus o Giove o chi per lui. Ieri a 500 metri dal traguardo era spacciato.
Ma contro l’uomo del destino nulla possono gli elementi e gli uomini. Dei predestinati, degli eletti Lewis ha anche qualcos’altro: la fortuna. Bizzosa, volubile, irascibile, cieca eppur donna che arride a chi rischia, a chi glamour e ai vincenti. E tra l’uomo, la storia e il pilota Massa e Lewis la signora ha deciso in un baleno con chi stare e a chi strizzare l’occhio. Si era già distratta, per riparare ad altre sfortune, l’anno scorso, quando aveva sorriso, dopo due anni, a Kimi. I perdenti arrivano sempre, e solo, secondi. A proposito di Kimi, è anche lui un eletto, un figlio della luce.
Massimo Bencivenga
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