 La Gargoyle Books ha deciso di omaggiare il grande pugile americano a 30 anni dalla storica notte di Kinshasha, con un bel libro all’interno della Collana Accadimenti.
Quando si parla di Muhammad Alì con me si va sul sicuro.
Da appassionato di boxe e di storie ritengo che l’ex Cassius Clay possa rappresentare il non plus ultra, l’intersezione ideale tra sport e vita, tra politica e cambiamenti epocali.
A volte mi vien da pensare se sia stato più grande come pugile o come persona pubblica, laddove ha fatto per i neri ben più di tanti politici.
Niente è mai stato ordinario nella vita di Muhammad Alì, a cominciare dal cambio di nome, per arrivare alle vittorie e alla sconfitte.
Nessuno sapeva vincere come lui, e nessuno perdeva allo stesso modo.
Adesso lo chiameremmo icona metrosexual, ma non c’è al mondo oggi uno sportivo capace di influire in maniera globale in modo così efficace.
Lo smargiasso pugile di Roma 1960, quello che irrideva e ballava sul ring e che faceva stragi di cuori fuori (do you remember Wilma Rudolph?) e diventato nel tempo il tedoforo tremante di Atlanta 1996, ma anche in quella occasione il mondo restò senza fiato, perché Alì è sempre stato un maestro nell’usare il corpo come mezzo di comunicazione, quando era in forma e nella malattia.
Una capacità pari solo a quella di Papa Wojtyla.
Una comunicazione che non si può simulare, e che riesce al cento per cento solo se spontanea e congruente al cento per cento con pensieri e intenzioni. Forse Alì, l’uomo che prese posizione contro il Vietnam, aveva capito che per i neri sarebbe arrivato, di lì a poco il riscatto, con Obama.
Ma, indubbiamente, ha fatto più Muhammad per i neri che Obama.
Rino Tommasi tutte queste cose, e anche di più, le conosce come e meglio di me. E in questo libro ha deciso di raccontare in maniera molto coinvolgente oltre cinquanta anni di sport e vita, accompagnando il racconto con suggestive foto di repertorio, per la maggior parte inedite in Italia.
Muhammad Alì - L’ultimo campione, il più grande? Di Rino Tommasi
Con la collaborazione di Fabrizio Gianuario.
Gargoyle, collana Accadimenti, pp. 159, € 40
Nonostante la boxe attualmente abbia un sistema codificato di regole, possiamo dire che è ancora uno sport antico. Risveglia quello spirito ancestrale, leggendario, che c’è nella lotta (il fascino di due guerrieri che si battono sul ring ad armi pari) e che rende la boxe uno sport estremamente televisivo. Chiunque guardando un incontro di pugilato può venire attratto da quello che accade senza saperne nulla di tecnica, stili e regole. È questa la forza della boxe, la sua caratteristica principale: che non occorre spiegarla, perché è uno sport che ti prende immediatamente, che impressiona. Il pugilato non vive di schemi, ma di impressioni.
Decano del giornalismo sportivo italiano, Rino Tommasi è a tal punto appassionato di pugilato da potersi ritenere tra coloro che lo hanno fatto conoscere nel nostro Paese, anche per via della sua attività di entusiasta organizzatore di incontri.
In Muhammad Ali -L’ultimocampione, il più grande?, Tommasi prende in esame la spettacolare carriera di Muhammad Ali: dalla vittoria alle Olimpiadi di Roma del 1960 – quando era ancora Cassius Clay – all’incontro Ali-Foreman di Kinshasa (attuale Congo), il 30 ottobre 1974, ricordato come “Rumble in the Jungle”, fino all’ultima, toccante apparizione ai Giochi olimpici di Atlanta del 1996.
Suddiviso in capitoli/rounds, ricco di aneddoti, retroscena e curiosità, il libro racconta come Muhammad Ali sia riuscito a travalicare i confini della boxe e come abbia alimentato un interesse mondiale attorno a questo sport, ammantandolo di un allure di grandiosità ed epicità senza precedenti.
Ali ha combattuto sul ring innalzando rapidità, tecnica, agilità, reattività, coordinazione, prontezza di riflessi, gioco di gambe in un tutto unico e micidiale che andava di pari passo con un atteggiamento provocatorio nei confronti dello sfidante – strafottente, giochi di parole, proclami, pronunciati fino allo sfinimento.
Da tale stile, unico e ineguagliabile, è nato il personaggio-Ali inscindibile dall’atleta-Ali. Sono queste due facce della stessa medaglia a consacrarlo, infatti, quale icona della Storia dello Sport.
Il tre volte campione del mondo dei pesi massimi è stato infatti uno showman dall’indiscusso carisma e un abilissimo promoter di se stesso,capace di utilizzare i media come non era mai stato fatto prima e dando vita a una reciproca e, a tratti, controversa fascinazione.
Culto di sé a parte, Muhammad Ali non dimenticò mai la sua gente, quella comunità di colore vittima di una discriminazione ignobile nell’America bianca, emblema della democrazia. Discriminazione che fino al 1964-’65 (biennio delle grandi legislazioni a sostegno dell’uguaglianza tra razze) non trovò alcun intralcio formale che l’arginasse. Proprio la pervasività dell’apartheid negli USA del ventennio Cinquanta/Sessanta avvicinò il fuoriclasse all’organizzazione dei Musulmani Neri, all’interno della quale avvenne la sua conversione all’Islam, motivo del cambio di nome, da Cassius Clay a Muhammad Ali. Oltre all’attivismo in favore della sua gente, Ali è stato, anche, in prima linea sul fronte pacifista e il suo rifiuto di arruolarsi nell’esercito, ai tempi della guerra del Vietnam (celebri le battute «Man, I ain’t got not quarrel withe them Vietcong» / «No Vietcong ever called me nigger»), gli costò un prezzo altissimo (condanna a 5 anni di reclusione – seppure nella pratica non scontò nemmeno un giorno di prigione –, multa di 10.000 $, ritiro del passaporto, revoca del titolo di campione e della licenza di pugile) che lo allontanò dal ring per più di tre anni all’apice del successo.
Tommasi intreccia la storia di Ali con quella del pugilato moderno, segnata dall’avvento della televisione fino al binario morto su cui oggi questo sport sembra procedere. Nessuno, infatti, è riuscito a prendere il posto di Muhammad Ali e nessuno come lui ha fatto risplendere la boxe a livello mondiale.
Rino Tommasi (Verona 1934), maestro del giornalismo sportivo, è una delle massime autorità italiane su pugilato e tennis. Negli anni Sessanta è stato il più giovane organizzatore pugilistico del mondo. Inizia collaborando con l’Agenzia Sportinformazioni e con diversi quotidiani – l’edizione marchigiana del «Messaggero», «Tuttosport», fino ad approdare a «La Gazzetta dello Sport», dove scriverà articoli da tutto il mondo per oltre quarant’anni. Lunghissimo anche il rapporto con il quotidiano «Il Tempo», i cui primi articoli appaiono con lo pseudonimo di Tom Salvatori. Collabora anche con «la Repubblica», «Il Gazzettino » e «Il Mattino». Nel 1981 diventa il primo direttore dei servizi sportivi della rete televisiva Canale 5. Dal 1982 al 1990 conduce il programma “La grande boxe”, di cui è anche autore. Nel 1991 è il primo direttore dei servizi sportivi per Telepiù. Spesso in coppia con l’amico e collega Gianni Clerici, e con Roberto Lombardi e Ubaldo Scanagatta, – ha commentato i principali avvenimenti tennistici per diverse reti televisive,da Tv Koper Capodistria a Telepiù fino Sky Sport – dove Tommasi è stata anche la voce del pugilato fino al 2010. Attraverso articoli e telecronache, ha seguito 46 edizioni di Wimbledon, 8 Giochi olimpici e 34 riunioni di pugilato a Las Vegas. Ha vinto due premi di Letteratura sportiva del coni con i volumi Storia del tennis (Longanesi, 1983) e La grande boxe (Rizzoli, 1987), e nel 2014 il premio “Bancarella Sport”.
È autore di Da Kinshasa a Las Vegas via Wimbledon. Forse ho visto troppo sport, e di Maledette classifiche. Tra boxe e tennis, vita e imprese di 100 campioni (Limina 2009 e 2012) e di innumerevoli volumi di statistiche su tennis e calcio.
Massimo Bencivenga
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