Se neanche il Mont Ventoux emoziona più.
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Se neanche il Mont Ventoux emoziona più.

Froome ha scalato il Mont Ventoux più velocemente di Armstrong, Pantani e Merckx. Sarà vera gloria?

Se neanche il Mont Ventoux emoziona più.

Il Mont Ventoux appartiene alla Storia della Sport in generale e al Tour de France più nel particolare. Una salita mitica, una tappa che può regalare un posto nella storia come forse, a quelle latitudini, solo l’Alpe d’Huez. Ebbene ieri la maglia gialla Chris Froome ha fatto il marziano su una ascesa che via via sembra assumere i connotati di una landa aliena.
Lassù sembra quasi di essere su un altro pianeta, e anche Petrarca si fece irretire e stregare dalla malia di questo luogo.

Ma torniamo alle umane voglie, al ciclismo, che ieri ha vissuto una giornata da incorniciare.

Ma sarà vera gloria?

Il ciclismo sta vivendo una crisi di popolarità per i fattacci del doping, non te la senti di affezionarti a qualche campione per poi scoprire che lo stesso ricorreva ad aiuti chimici per le sue prodezze. Chris Froome ha fornito una esibizione di forza e superiorità impressionanti.
Non ha vinto, ha dominato, ha stravinto, ha passeggiato.
Sembrava di vedere un keniano gareggiare sui 3000 siepi con svedesi o finlandesi.  

Difficile non fare un paragone con Lance Armstrong, simile la posizione e la tecnica in salita, simile l’impressione di poter fare il vuoto solo a volerlo. Il britannico d’origine africana, che secondo alcuni avrebbe potuto vincere il Tour già l’anno scorso, ha scalato la mitica montagna con un tempo monstre: 47′40″, cancellando dal libro dei record l’ascesa di Armstrong, nel 2002, in 48′30″. Meglio di Pantani nel 2000 e di Merckx nel 1970, che ebbe quasi una sincope dopo aver vinto. Il cannibale affrontò di petto la salita per smentire quanti gli dicevano: “Il mont Ventoux non è una montagna qualunque”. Leggenda vuole che Merckx rispose: “Neanche Eddie Merchx è un ciclista qualunque”. Fece faville lassù, ma svenne appena dopo il traguardo. Peggio andò a un altro britannico, Tommy Simpson, che nel 1967 morì sulla salita, a circa 2 km dalla vetta lungo il versante di Bedoin, per un arresto cardio-circolatorio causato dall'estrema fatica, da disidratazione e da sostanze dopanti assunte poco prima. C’è una lapide sulla strada a ricordare Simpson, e sinceramente non vedo perché ricordare qualcuno che si aiutava con sostanze dopanti. Ma tant’è.

Froome è salito molto più forte, un minuto in salita è una eternità, del texano che è diventato sinonimo quasi di doping. E allora vien da chiedersi: “Questo Froome è un mostro o semplicemente ancora non è finito nelle maglie del doping?”.

Aspettiamo, di sicuro c'è il fatto che, se non ci emozioniamo per il gesto ma cominciamo a pensar male, la credibilità del ciclismo è ai minimi termini.

Ed è notizia di questi giorni il coinvolgimento in fatti di doping degli sprinter Asafa Powell e Tyson Gay, due dei principali avversari di Usain Bolt, e di altri sprinter di grido come Nesta Carter e Sheron Simpson. E anche i 100m, tanto maschili quanto femminili, hanno perso, da qualche anno a questa parte, e sempre per via del doping, appeal.  

Sarà vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza. 

 

 

Massimo Bencivenga

 
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