E' morto Renato Dulbecco. Mi sento di dire più scienziati e meno veline in tv
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E' morto Renato Dulbecco. Mi sento di dire più scienziati e meno veline in tv

E' con la tecnologia che si cresce, che si scalano posizioni, si diventa e si resta competitivi. Che ruolo hanno gli scienziati nel cresci-Italia di Monti?

E' morto Renato Dulbecco. Mi sento di dire più scienziati e meno veline in tv

 

Renato Dulbecco. Il grande scienziato italiano, lo considero italiano anche se la sua produzione scientifica è, essenzialmente, marcata a stelle e strisce, è morto, all’età di quasi 98 anni, il 20 febbraio.
E’ morto pochi giorni dopo la fine del Festival di Sanremo.
E che c’entra il Festival di Sanremo con Renato Dulbecco, Premio Nobel per la Medicina nel 1975.

C’entra, perché Fabio Fazio, presentatore del Festival di Sanremo del 1999 (vinto, per i precisetti, da Anna Oxa con la canzone Senza pietà), ebbe la geniale pensata di pensare a Renato Dulbecco come co-conduttore.

E lo scienziato ebbe la bella idea di accettare. Accettò perché conscio e consapevole dell’impatto mediatico del Festival.
Accettò perché conscio e consapevole che gli scienziati devono uscire dalle torri d’avorio, mostrarsi, a maggior ragione un Premio Nobel, per la promozione e la crescita della Scienza.

 

 

Confesso che, pur conoscendolo (si può dire di fama?), quei momenti insieme a Fabio Fazio e a Leatitia Casta, mi fecero associare un volto ed un sorriso ad un nome ed un premio.

Ricordo che parlò di alcuni suoi esperimenti con l’elettricità, perché, è bene ribadirlo, Dulbecco è stato un gigante e, per una volta, un gigante riconosciuto, non come è successo ad altri, ed ogni riferimento a Nicola Cabibbo non è affatto casuale.

Ricordo che parlò della sua giovinezza da studioso, insieme a Rita Levi Montalcini e a Salvador Luria, della guerra combattuta come medico e di tante altre cose, tutte interesanti e tutte raccontate senza sicumera, spocchia o supponenza, ma con quel sorriso gentile e sincero.

Le strade della vita lo portarono, dalla Calabria e via Torino, in California, al calTech, fucina di studiosi e Premi Nobel. Nel 1960 fa la scoperta che nel 1975 lo porterà al Nobel: osserva che i tumori sono indotti da una famiglia di virus che in seguito chiamerà “oncogeni”.
Nel 1972 lascia gli Usa per Londra, come vicedirettore dell'Imperial Cancer Research Fund. Dopo il Nobel, condiviso con David Baltimore e Howard Temin, ritorna all’Istituto Salk per studiare i meccanismi genetici responsabili di alcuni tumori, in primo luogo quello del seno.

Ma Dulbecco era sempre avanti. La genetica è la nuova frontiera? Ed allora eccolo diventare il coordinatore italiano del Progetto internazionale Genoma Umano avviato nel 1987, esperienza conclusasi nel 1995 per la, solita direi, mancanza di fondi.

C’è poi un’altra coincidenza. Renato Dulbecco è morto nel giorno del sesto anniversario della morte di Luca Coscioni. E dire che lo scienziato nutriva forti speranze nelle staminali, fu tra i sostenitori dei quattro quesiti referendari abrogativi della legge sulla procreazione medicalmente assistita e in una intervista nel 2005 affermò che “La legge 40 è folle. E umiliante per la medicina”.

Nominato nel 2000 dall’allora Ministro della Sanità, professor Umberto Veronesi, presidente della “Commissione di studio sull’utilizzo di cellule staminali per finalità terapeutiche”, riconobbe la possibilità di una applicazione terapeutica della ricerca sulle cellule staminali in grado di condurre a una vera e propria rivoluzione in medicina, superiore persino a quella rappresentata dagli antibiotici. Dei 30 milioni di malati cronici stimati nel nostro Paese, valutò in 10 milioni coloro che avrebbero potuto beneficiare dell'applicazione sulla ricerca con le cellule staminali.
La speranza di quei 10 milioni di malati individuati dal "Rapporto Dulbecco" venne raccolta e difesa da Luca Coscioni, Presidente di Radicali italiani, che alla fragilità della malattia corrispose con raddoppiato impegno a difesa della libertà della ricerca scientifica dall'ingerenza della politica.

Abbiamo bisogno di più scienziati in tv e di qualche sgallettata in meno, è questo l’appello che mi sento di fare ai palinsesti. Più Piergiorgio Odifreddi e meno comici, più Valerio Rossi Albertini e meno veline. Se si vuole crescere, crescita che passa anche, forse soprattutto, attraverso l'innovazione tecnologica.

Basta che siano come lui, all’occorrenza capaci di ballare, come fece Dulbecco con Laetitia Casta.

Massimo Bencivenga

 

 
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