 Sudafrica 2010 è ormai andata in archivio e tra qualche decennio verrà ricordato per la passerella di Nelson Madiba Mandela e per la prima volta della Spagna. Ma noi così a caldo possiamo ricordare tante altre cose. Sul fronte degli allenatori ricorderemo sicuramente l’arroganza di Marcello Lippi (che non ha raccolto l’appello di Checco Zalone “Convochilo Marcello”) e la sapienza discreta del maestro Oscar Tabarez, le orribili giacche di Dunga e i pullover di Joachim Loew, il rosario tra le mani di Diego Armando Maradona e la mascella tesa di don Fabio Capello, l’espressione bonaria di Vicente Del Bosque e quella da schiaffi di Raymond Domenech, la prima volta di Vladimír Weiss e la sesta di Carlos Alberto Parreira.
Ma non ci sono solo gli allenatori, un mondiale è fatto di arbitri, i quali, nonostante i proclami di Blatter, sono stati ampiamente insufficienti, basti pensare al gol non dato a Lampard ed al pacchiano errore del nostro alfiere: Roberto Rosetti. Ma in questo grigiore sono comunque emersi due lampi: il giapponese Yuichi Nishimura e l’uzbeko Ravshan Irmatov; due nazioni, il Giappone e Uzbekistan, dove notoriamente si gioca un grande calcio. Uno dei due avrebbe sicuramente meritato di dirigere la finale più di Howard Webb, ma anche per le designazioni valgono le regole della politica. E Webb è stato più sponsorizzato. Sul fronte calciatore abbiamo assisto, più ancora della vecchiaia di qualche elefante, al crepuscolo degli dei; basti pensare che gli ultimi Palloni d’Oro (Fabio Cannavaro, Ricardo Leite Kakà, Cristiano Ronaldo e Lionel Messi) non solo non hanno giostrato da star, ma sono stati al di sotto dei calciatori “normali”. Così come Wayne Rooney e Fernando Torres.
E stato anche un mondiale di Parentopoli: Ayew del Ghana (giovane molto interessante) è il figlio di Abedi Pelè, ex Marsiglia e Torino; El Chicarito Hernandez è figlio e nipote di ex nazionali del Messico; Bob Bradley allenava il figlio Michael; anche Vladimír Weiss allenava il figlio Vladimir ed è figlio di un altro nazionale, Vladimír Weiss anche lui; Diego Forlan, poi eletto Pallone d’Oro del mondiale, è figlio di un nazionale uruguagio, come pure Gonzalo Higuain è figlio di Jorge nazionale. E poi i fratelli: i Tourè, Kolo e Yaya, della Costa d’Avorio; i Palacios; Wilson e Patricio, dell’Honduras; i Nakamura, Shunsuke e Kengo, del Giappone; i Barreto, Edgar e Diego, del Paraguay; i cugini Handanovic, Samir e Jasmin, ambedue portieri, della Slovenia che ben conosciamo in Italia. Finiamo con i generi: El Kun Aguero ha il genero più famoso del mondo, Diego Armando Maradona; mentre il genero di Mark Van Bommel è il ct Bert van Marwijk.
Negli occhi della mente rimarranno impresse le lacrime, già perché c’è chi ride ma anche chi piange, noi ricorderemo le lacrime di commozione del Nordcoreano Jong Tae-Se durante l’inno nazionale, quelle di rabbia di Fabio Quagliarella e quelle di felicità di Iker Casillas che poi, in barba al protocollo, ha baciato la sua fidanzata Sara Carbonero mentre la stessa, giornalista sportiva, lo stava intervistando dopo la vittoria iridata.
Erano attese le wags, le più cool e glamour, ossia le wags italiane ed inglesi hanno avuto un soggiorno breve, anche grazie alle virtù dei compagni. Abbiamo scoperto una nuova wags italiana, Cristina De Pin, ed una musulmana, Melek, la moglie di Mesut Özil. Ma soprattutto abbiamo scoperto Larissa Riquelme, la maggiorata paraguayana che ha spopolato sulle tribune. Ma la classe di Sara Carbonero è un’altra cosa.
Per finire come non ricordare le vuvuzela, il tormentone Waka Waka di Shakira e l’allegria che un popolo così martoriato ha comunque profuso in ogni partita, ma per l’Africa avere un Mondiale è già una grandissima vittoria.
Massimo Bencivenga |