
Chianti in bustine, roba da far venire un coccolone agli amanti del vino. Eppure succede. Dove? Nel mondo grigio della contraffazione, dove si spacciano per Chianti chissà che miscela chimica e per mozzarelle campane alcune robette che poi diventano di colore blu.
Lo scorso mese il Censis ha lanciato una allarme e una speranza. La contraffazione, a tutto tondo, quindi non solo quella alimentare, “costa” all’Italia qualcosina come 100 mila posti di lavoro e 1,7 miliardi di entrate fiscali. Se i prodotti falsi fossero venduti sul mercato legale, la produzione salirebbe di 13,7 miliardi e le imposte (indotto incluso) di 4,6 miliardi.
La cosa potrebbe rivelarsi un toccasana in un momento e una congiuntura che vede tecnici, imprenditori e politici scannarsi tra loro per confutare o confermare qualche decimo di Pil in più o in meno. Eliminare del tutto la contraffazione è una pia speranza, ma cercare di arginare il fenomeno e contenere quella che a tutti gli effetti sta diventando una piega è un obbligo e un dovere per l’Italia.
E si deve lavorare a più livelli, in Italia e all’estero. Perché anche paesi come il Canada e la Svezia son stati beccati con la mano nella marmellata a produrre e spacciare prodotti italiani che italiani non sono affatto. Ma volete mettere, una bella mozzarella prodotta dal Caseificio Casale Bencivenga a Caserta? Poi si vien a scoprire che detto caseificio non esiste affatto. Il made in Italy viene imitato e contraffatto in quasi ogni sua declinazione.
La parte del leone spetta all’abbigliamento e agli accessori, ma quasi nulla vien risparmiato, dal momento che la contraffazione spazia dai gioielli alle calzature, dal design ai giocattoli, nell’arredo, per arrivare anche ai medicinali. Ovviamente non c’è scrupolo alcuno nel contraffare anche modelli registrati, del made in Italy e dell'Italian sounding nell'alimentare, più facili da smerciare all’estero sottocosto.
Anche qui, è difficile non sapere. Siamo tutti ben consapevoli che se compriamo a un determinato prezzo una borsa la stessa non può essere autentica. E tedeschi, canadesi e svedesi che, scientemente, usano lo specchietto per le allodole del made in italy sanno di compiere una illegalità.
Ad ogni modo l’Italia deve impegnarsi sul territorio, per ciò che possiamo fare da soli, e nelle sedi diplomatiche e internazionale, per un aiuto congiunto. Anche perché a rischio contraffazione non è che siamo solo noi, ogni nazione ha i suoi prodotti contraffatti.
Tutto ok? Niente affatto, perché la proliferazione e il successo della contraffazione deriva in massima parte dalla maggiore economicità degli stessi.
Ed ecco quindi che tutte le belle iniziative vanno inevitabilmente a cozzare con le esigenze di bilancio. Vendere prodotti di qualità a minor prezzo, no?
Massimo Bencivenga
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