Mario Monti. Iniziamo subito con il dire che la parola riserva, non va intesa qui in senso dispregiativo, l’uomo e il professionista sono tali che tutto il mondo ce lo invidia, né come termine di confino. Mario Monti non è la riserva di nessuno, né tantomeno un pellerossa d’America o un peones. Ma riserva come risorsa a cui attingere, questo sì. Nei momenti bui, da una decina d’anni a questa parte si è spesso guardato a lui come al salvatore, alla riserva e risorsa ultima per cercare di risollevare e ridare credito a questa Italia che, prova ne sono i sorrisini del duo diabolico, rischia di affondare con il padrone del bunga bunga. Si guardava a lui e all’altro Mario, passato come questo per Goldman Sachs, che ora sta alla BCE. Il premier comincia a parlare male dell’Euro per nascondere la sua incapacità di ridare slancio all’Italia, e subito arriva una smentita da Mario Draghi, dall’economista stimato in tutto il mondo, ben più di altri presenti nel Governo, che mette le cose in chiaro, non è la moneta ad essere debole.
E’ la politica, ad esserlo. Le cose molto spesso vanno a braccetto, ma il distinguo sembra avere questa volta una valenza diversa dalla semplice constatazione accademica.
Mario Monti, nel suo intervento, pubblicato dalla prima pagina del quotidiano di via Solferino, si è rivolto direttamente al presidente del Consiglio per “richiamare la sua attenzione” sulle sue ultime dichiarazioni sull’euro, individuando “affermazioni fondate e altre infondate”, che “fanno sorgere, accanto a una remota speranza” anche “serie preoccupazioni”. Per l’ex commissario europeo l'euro non è affatto in crisi, mentre “gli attacchi speculativi” che pure “ci sono, spesso violenti, non sono attacchi contro l'euro”.
Monti ha detto anche altro, ma ha tenuto a precisa che la moneta non è in crisi ma “è stabile in termini di beni e servizi” e “in termini di cambio con il dollaro”, sottolineando come “sarebbe un’impresa ancora più ardua” per l’Italia emettere titoli italiani in lire se la stessa non fosse presente nell’UE.
Non ha mancato infine di dire che, in economia, “anche le parole non sorvegliate hanno un costo”. I mercati sono conversazioni.
Queste parole, sommate a quelle di Napolitano, potrebbero fare da prologo ad un governo di non eletti, guidato da Mario Monti, che faccia le riforme prima di passare di nuovo la mano ai “professionisti” della politica, con la p minuscola. Visto che nessuno è capace d’inventarsi un nuovo Prodi o un nuovo Berlusconi allora il Capo di Stato ha pensato bene di trovare un nuovo Ciampi in Monti come già fece Oscar Scalfaro con il Ciampi originale. Ma lo farà sul serio.
Un governo tecnico o di tecnici è ben visto da gran parte dello spettro politico, anche da non poche sacche del Pdl. Gli unici a non gradire una situazione del genere sono quelli della Lega Nord, più Bossi che Maroni per la verità che, accanto alla partita nazionale sta giocando quella interna per la leadership del partito. Una soluzione del genere potrebbe favorire i delfini, cioè i Maroni, gli Alfano senza che siano gli stessi a commettere il regicidio di pugnalare alle spalle gli attuali regnanti. Via tutti, e facce nuove.
A quel punto la B2, Berlusconi e Bossi, avrebbe non poche difficoltà ad arginare il nuovo, dal momento che il vecchio, cioè loro, ha clamorosamente fallito.
Ma Napolitano avrà il coraggio di essere più interventista e dare la spallata?
E Monti, questa volta, è proprio deciso a salire sulla tolda di comando?
O non è che magari si terrà anche questa volta da parte per giocare fra due anni la partita del Quirinale?
E ciò che ho detto per Maroni ed Alfano, ammesso che si concretizzi, varrà anche per i Renzi del PD?
Come al solito la situazione è confusa. Ma bisogna muovere qualcosa perché il G20 di Cannes, dove si scriverà al Storia, incombe.
Massimo Bencivenga
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