Una volta i 10000 metri erano cosa nostra, roba da italiani, ma adesso le cose sono cambiate. E di molto. Dalla fine degli anni ’80 in poi, il fondo e mezzofondo dell’atletica leggera sono diventati terreno di caccia degli atleti africani. Sui 10000 m possiamo ben dire che l’Italia è stata l’ultima ad arrendersi. L’ultimo non africano a vincere un oro olimpico sui 10000 m è stato un italiano, l’ultimo atleta non africano a vincere un oro nei 10000 m è stato un italiano. Lo stesso italiano: Alberto Cova.
Alberto Cova vinse i 10000 m a Los Angeles 1984 dopo aver vinto l’oro ai primi mondiali della Storia, a Helsinki 1983, nello stadio che aveva all’ingresso la statua dell’eroe nazionale Paavo Nurmi, peraltro bicampione olimpionico dei 10000 nel 1920 ad Anversa e nel 1928 ad Amsterdam.
Nurmi alla fine della sua carriera potè contare ben 9 ori olimpici nel fondo e nel mezzofondo, da solo o in concorso a squadre.
Ma torniamo a noi, a Cova e ai 10000 m. Le medaglia pregiate a Helsinki e Los Angeles rappresentano l’ultimo argine contro al marea africana che era lì lì per tracimare.
La prima breccia si aprì a Roma 1987, quando un misconosciuto Paul Kipkoech partì lancia in resta e fece il vuoto. Il mondo dell’atletica cominciò a fare i conti con il modo di correre dei keniani. Un italiano, il calabrese Francesco Panetta arrivò secondo. Francesco Panetta vinse i 3000 siepi e, anche in quel caso, si tratta dell’ultima vittoria mondiale di un non africano d’origine.
L’anno dopo, alle Olimpiadi di Seoul 1988, quelle di Ben Johnson e Florence Griffith-Joyner, s’impose nella gara dei 10000 m il marocchino Brahim Boutayeb. Secondo arrivò il siciliano Salvatore Antibo.
Nel 1992 si affermò invece il grandissimo sbruffone Khalid Skah, uno che affermava di essere il più grande atleta di sempre ma che invece, a parte questo titolo, vinse pochino, per essere un grandissimo come diceva. Da quel momento in poi, i 10000 m sono passati ad essere una disciplina ad appannaggio degli etiopi.
Tra mondiali e olimpiadi solo il keniano Charles Kamathi, nel 2001, è riuscito ad inserirsi nell’interregno tra gli etiopi Haile Gebrselassie e Kenenisa Bekele. Due modi peraltro antitetici di intendere i 10000 m. I keniani partono lancia in resta e mirano a fare il vuoto, e in genere, con l’eccezione degli etiopi lo fanno; gli etiopi stessi sono più tattici, non cercano di vincere per distacco, ma preferiscono le volate finali, dove sono quasi imbattibili per brillantezza, sagacia tattica e velocità.
Lo scorso anno il fenomeno Bekele non c’era, sembrava la volta buona per i keniani, ma Ibrahim Jeilan riuscì comunque a far capire che gli etiopi, sui 10000 m, non hanno affatto intenzione di abdicare.
E gli italiani? Daniele Meucci ha preso un bronzo e un argento negli ultimi europei, nel 2010 vinse, correndo con i colori della Gran Bretagna, un atleta somalo naturalizzato di nome Mohammed Farah.Questa pratica delle naturalizzazioni è abbastanza diffusa, basti pensare al "danese" Wilson Kipketer.
Come sono lontani i tempi di Stoccarda 1986, quando sui 10000 ci fu la triplete azzurra: Stefano Mei oro, Alberto Cova argento, Salvatore Antibo bronzo.
E sì, una volta i 10000 metri erano cosa nostra.
Massimo Bencivenga
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